
Carlo Yriarte, Biblioteca Dell'immagine, 2014
Dalmazia
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Inviaci una richiesta che cerchiamo in fondo agli scaffali
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Ei tiene la Guzla tra le ginocchia, come fosse un violoncello, e preludia con delle voci di testa di tono altissimo; a poco a poco, la folla gli si aggruppa intorno; i presenti dapprima ascoltano con indifferenza, accudiscono intorno al cantatore alle faccende domestiche, lo disturbano, vanno, vengono, passano, entrano, escono; ma la sua voce si scalda, e gli astanti si raccolgono, si forma il circolo, i passanti si fermano; se uno entra, lo fa con precauzione, e tutti si allogano in atteggiamenti svariatissimi, e si mettono ad ascoltare gravemente. Alcuni stanno ritti in piedi contro le pareti; altri, stesi su sacchi, accoccolati, seduti alla turca, rimangono immobili e muti; nessuno apre la bocca; se un passeggiero, assetato, vuol che gli servano il caffè o la bevanda del luogo, si accontenta di fare un segno. La voce del cantore intanto si è alzata, egli si eccita e i suoi occhi fluttuano; il verso slavo è rotto da singhiozzi singolari, che accentuano ciascuna frase del canto: non è certo musica, e direi volentieri che non c'è né melodia, né armonia, né forma, né suono; con tutto ciò la melopea uniforme ha un non so che d'attraente, di malinconico, di cupo, con dei lampi talvolta e degli accenni di trionfo. E come la storia del popolo, pieno di tristezza e di speranza; è la loro Iliade, la loro Odissea, il loro romancero; a volte è altresì un'antologia e un idillio, un epitalamio o una canzone, il riflesso della vita, la sua storia in versi, il racconto delle sue leggende, la glorificazione de' suoi eroi.