Christophe Houdaille, Ediciclo, 2016

Il Canto delle vele

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Issare le vele, prendere il largo, gettare l’ancora. Le azioni di un velista sono magnifiche metafore del viaggio. Partire in solitaria, affrontare la furia delle tempeste australi e la minaccia errante degli iceberg, farsi tutt’uno con lo scafo e le sue vele: tutto questo, per il mondo contemporaneo, così ansioso di sicurezza e abituato alle comodità, è la più grande e impagabile libertà. Navigare in altura significa vivere in straordinaria comunanza con gli elementi naturali: l’oceano senza fine, certo, ma anche il cielo, da cui nascono venti e tempeste, e la terra, che sia approdo temporaneo o agognata ultima meta. Significa avere una particolare sensibilità per le mille sfumature iridescenti del mare, che al marinaio insegnano il gusto estetico e lo invitano a ricercare, nel coraggio della sfida all’incognito, la propria natura più profonda. Vuol dire anche avere a che fare con gli abitanti degli oceani: le balene e i delfini, divertenti compagni di viaggio; le meduse, dalle inquietanti luminescenze; le danze leggiadre di albatros e gabbiani. Infine, l’esperienza della barca a vela fa entrare in contatto con uomini e donne i cui sogni e le cui certezze, incrostati di salsedine, sono uno potente antidoto contro la società dei consumi.

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